Risale a 7 anni fa la legge 38, precisamente al 15 marzo del 2010, che per la prima volta in Italia ha messo il dolore, o meglio il diritto di non sentire dolore, all’articolo 1. Qualsiasi tipo di dolore.
Circa il 5-7% dei casi di dolore cronico è rappresentato dal dolore oncologico. L’intensità e le caratteristiche possono variare da paziente a paziente, solitamente all’inizio si ha una sintomatologia acuta, che, con l’avanzare della malattia, può diventare permanente totale e totalizzante.
Tuttavia non tutti i malati oncologici presentano tale disturbo, che può essere causato sia dal tumore stesso, che da effetti collaterali delle cure o procedure diagnostiche. Per questi pazienti, pertanto, il documento, intitolato “Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore”, è molto importante.
Negli ultimi anni, i pazienti che seguono un trattamento per il dolore è diminuita di circa un quarto, si è passati da un 43,4% dei pazienti a un 31,8%. Tuttavia ancora un terzo dei malati oncologici non riceve l’adeguata terapia analgesica.
La dottoressa Vittorina Zagonel, direttore dell’Unità operativa complessa Oncologia medica 1 dell’Irccs Istituto oncologico medico di Padova, conferma:
“Un terzo dei pazienti senza un adeguato trattamento è un dato reale. Oggi abbiamo una vasta gamma di farmaci per il controllo del dolore oncologico, la cui indicazione è legata alla tipologia e all’intensità. Per il dolore meno intenso abbiamo gli antinfiammatori non steroidei, per la sofferenza fisica elevata sono indicati gli oppiacei (morfina o morfinosimili, ndr), che sono ancora sottoutilizzati.
È vero che ancora oggi l’utilizzo degli analgesici in oncologia non è ottimale, ma va detto che il dolore è complesso, non è sempre facile riuscirne a intercettare l’intensità e va riconosciuto che molto è stato fatto. Grazie alla legge 38, certamente, e anche ai percorsi formativi organizzati da Aiom per gli oncologi”.
Il dottore Guido Fanelli, ordinario di Anestesia e rianimazione e Medicina del dolore all’Università di Parma, è uno degli autori della legge 38 del 2010, secondo molti il padre della norma, che rappresenta a tutt’oggi un modello per l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Il Dott. Fanelli afferma che c’è ancora molto pregiudizio sugli oppiacei.
Spesso questi farmaci vengono collegati dai pazienti alle droghe e al fine vita, i medici hanno paura degli effetti collaterali che potrebbero riscontrarsi nei pazienti.
“Una prova di questo pregiudizio è l’eccessivo uso inappropriato dei fans nonostante gli effetti collaterali, anche importanti, associati a questi farmaci se utilizzati per lunghi periodi di tempo. Basti dire che spendiamo in Europa mezzo miliardo di euro l’anno di antinfiammatori e solo 140 milioni per gli oppiacei, e che noi italiani siamo il paese che ne consuma di più”.
Il cancro avanzato porta a dolore particolare, spesso è sofferenza costante con dei picchi. Può essere totalizzante e avere pertanto un forte impatto sulla qualità della vita dei pazienti. Inoltre sono molti i cittadini italiani che non sono a conoscenza di questa legge per il diritto a non sentire il dolore.
Il dottor Fanelli prosegue con la spiegazione:
“È così ma è anche un dolore che siamo in grado di controllare: abbiamo oppiacei per il fondo e per i picchi. Il fatto è che il paziente non sa dell’esistenza della legge: 8 cittadini italiani su 10 non sanno che hanno il diritto di non sentire dolore. Anche i medici la conoscono poco: 4 su 10 sanno che c’è, ma non ne conoscono i dettagli. È un problema di scarsa informazione e formazione. Un peccato, perché la vita di un paziente oncologico senza dolore sarebbe un’altra cosa”.
Il palliativo è un farmaco che non cura, ma che permette di far passare il dolore. Il termine deriva dal latino pallium, che significa mantello: un grande mantello, che permette di coprire tutti sintomi legati alla malattia.
Per la legge, precisamente all’articolo 2, le cure palliative sono ‘l’insieme degli interventi terapeutici, diagnostici e assistenziali, rivolti sia alla persona malata sia al suo nucleo familiare, finalizzati alla cura attiva e totale dei pazienti la cui malattia di base […] non risponde più a trattamenti specifici’.
Fino a qualche anno fa, le cure palliative venivano usate solo quando il paziente non rispondeva più al trattamento. Grazie a questa legge, oggi è possibile procedere in parallelo con cura e palliativi, in modo che il paziente non soffra.
La dottoressa Zagonel ci racconta:
“Si passava alle palliative solo quando la malattia non rispondeva ai trattamenti. Oggi il modello è quello di cura simultanea, di integrazione precoce, che significa palliative non solo dopo ma anche durante i trattamenti oncologici. Tendiamo ormai a non aspettare: anche se il paziente è ancora in terapia antitumorale, si interviene con le palliative per trattare tutti i sintomi, se ci sono. Questo modello ci permette di prendere in carico il malato di cancro in maniera globale e quando ne ha effettivamente bisogno”.
Necessaria una buona comunicazione tra paziente e medico.
I pazienti oncologici vengono assisti principalmente mediante gli ambulatori. Nel caso in cui i pazienti notassero un peggioramento del dolore possono rivolgersi al proprio oncologo
La Dottoressa precisa anche che i pazienti al momento della somministrazione devono riportare ai medici gli eventuale sintomi:
“Inoltre c’è il momento della somministrazione delle terapie: quando il paziente va in ambulatorio deve comunicare anche il dolore, se lo sente. Non tutti pazienti lo fanno, a volte perché pensano che il dolore non sia correlato alla malattia, o perché sono più concentrati sulla prognosi e sulle cure. Qualcuno non accetta la terapia del dolore perché è una cura continuativa: non prevede farmaci al bisogno, cioè alla comparsa del sintomo, ma tutti i giorni, per prevenirlo prima che si manifesti. Per queste ragioni il medico deve chiedere attivamente informazioni sul dolore. E quando il paziente è in fase molto avanzata? A quel punto vengono attivati i servizi territoriali per le palliative”.
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